L’IDEOLOGIA DI GENERE AVANZA NELLA SCUOLA. NEL SILENZIO GENERALE, LE CASE EDITRICI SI ADEGUANO

11112927_10205070907426799_1473958952335019474_n   (PRIMA PARTE) Apprendo dalla pagina web della vicepresidente del Senato, senatrice Valeria Fedeli, che è stato depositato il disegno di legge n. 1680, per l’introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle scuole e nelle università. “Integrare l’offerta formativa dei curricoli scolastici, di ogni ordine e grado, – si legge – con l’insegnamento a carattere interdisciplinare dell’educazione di genere come materia, e agendo anche con l’aggiornamento dei libri di testo e dei materiali didattici, vuol dire intervenire direttamente sulle conoscenze utili e innovative per una moderna e civile crescita educativa, culturale e sentimentale di ragazze e ragazzi, per consentire loro di vivere dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e piena cittadinanza nella realtà contemporanea“. Non sono per nulla stupito. Ma ormai il Re è nudo. Confido che sia solo questione di tempo. Dietro la paccottiglia sbrodolante delle “pari opportunità”, dietro la volontà di eliminare “stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla impropria identità costretta in ruoli già definiti delle persone in base al sesso di appartenenza” (cito testualmente), ci sta la solita, subdola, e psicotica pretesa di negare l’evidenza: uomini e donne non sono uguali ed è perfettamente naturale e ragionevole che si inseriscano nella realtà culturale ed economico-produttiva della società in modalità diverse. Nemmeno si è posto il problema di un dibattito per stabilire i confini tra stereotipo e archetipo: cosa che peraltro è già stata fatta – egregiamente – dal comico Harald Eia (siamo nel 2010) con un breve documentario (il famoso video del “paradosso norvegese“) che smonta senza pietà la teoria gender. Come? Basandosi sull’evidenza, logico: uomini e donne sono diversi, fanno cose diverse perché – essendo psicologicamente, emotivamente, fisicamente diversi, appunto – sono naturalmente portati ad eccellere in campi differenti. Secondo i propinatori delle teorie del genere (ma non fa ridere che facciano di tutto per applicare queste teorie e poi si affrettino a negare che esista la teoria stessa?), l’obiettivo sarebbe quello di superare gli ostacoli che limitano, di fatto, la piena e autonoma soggettività. Si guardano bene però dal prendere anche minimamente in considerazione come – di fatto – questi nobili principi vengono ad essere declinati nella realtà. Non è bastato, anche questa è un’evidenza, il reportage di Harald Eia che si è preso la briga di andare ad intervistare gli “scienziati” del Nordic Gender Institute per cercare di capire il “paradosso norvegese” e cioè come mai, dopo dieci anni di politiche e lotte per la parità di genere, in Norvegia fosse emerso, come illustrato dai dati governativi, che le differenze fra uomini e donne fossero più marcate rispetto al passato (ad esempio, il 90 per cento delle infermiere norvegesi sono donne e il 90 degli ingegneri uomini, etc.). No. Non è bastato che perfino Michel Onfray, pur appoggiando i diritti LGBT e il femminismo, abbia criticato l’insegnamento della teoria gender nelle scuole, sostenendo che sottragga spazio all’insegnamento della filosofia, della lingua e della matematica. Come abbiamo ricordato, infatti, in un articolo del marzo 2014 Onfray ha scritto della «popolare e fumosa teoria del genere (…) della filosofa Judith Butler, che non nasconde l’appartenenza del suo pensiero alla linea decostruttivista» e ha poi riassunto la sua critica in un intervento radiofonico sostenendo che l’essere umano non è solo cultura, ma anche natura. E in seguito alle polemiche, Onfray ha aggiunto anche che la teoria del genere, voluta nelle scuole dal ministro Najat Vallaud-Belkacem, a suo avviso è «pericolosa» e «totalitaria», portando, come esempio dei danni, il caso di David Reimer e l’uso fattone dal dott. John Money (il guru della Gender theory) per dimostrare le sue teorie. Nemmeno questo è bastato. Tant’è vero che anche le case editrici si aggiornano, e alla svelta, adeguandosi al pensiero unico. E quello che lascia più attoniti è che a sottomettersi (e a sottomettere) al pensiero unico sono proprio quelle materie che più delle altre dovrebbero porsi al servizio dello spirito critico: la Filosofia e la Psicologia. Un esempio? Questo è un manuale scolastico (biennio scuola superiore) che mi propongono in adozione per l’anno prossimo: 20150421_2059122 Materia: Psicologia, per i Servizi Socio-Sanitari. Come in ogni manuale di questa tipologia, ad un certo punto si parla di Famiglia (pag. 38): 20150421_204840 Cito: “Un caso a sé è poi rappresentato dalle coppie omosessuali, che negli ultimi anni sono state legalmente riconosciute nella maggioranza dei paesi europei, mentre in Italia non godono ancora di alcun diritto“. E di seguito, immancabile, lo spot:   20150421_204829   Come chiunque può notare, la madre è scomparsa. E va bene così: il bambino è comunque sorridente bello e felice insieme ai suoi due (?) “papà”. Che dire? Cominciamo come sempre con l’analisi del testo (ricordo che si tratta di un testo per la scuola dell’obbligo): 1) Si dà per scontato che “siccome la maggioranza dei paesi europei ha deciso x”, allora ne consegue che x sia da perseguire anche in Italia. Così fan tutti, e via. 2) “In Italia le coppie omosessuali non godono di alcun diritto”. A parte che questo è – come abbiamo mostrato più volte, palesemente falso, non si capisce a quali diritti da conquistare – per il bene comune – si stia facendo riferimento. Forse all’adozione di minori in coppie dello stesso sesso, in modo che siano brutalmente deprivati di padre e/o di madre? Troppo tardi: quando insegnanti e studenti avranno terminato il paragrafo, il messaggio subliminale avrà già sortito il suo effetto e saranno già tutti perfettamente concordi nel gridare allo scandalo: “Che cosa si aspetta a concedere anche qui gli stessi diritti alle persone con orientamento omosessuale!?” E’ la tecnica della rana bollita, cui più volte ci siamo richiamati. . SECONDA PARTE: Qual è la relazione tra gender e la questione dei diritti nelle coppie dello stesso sesso, già implicitamente e senza lacuna discussione elevate allo status di “famiglie”? (… le cosiddette “famiglie omogenitoriali“, una lampante contraddizione in termini: “omogenitoriale” è l’ennesimo neologismo assurdo, un termine che non trova corrispondenza nella realtà: sbagliato dal punto di vista ontologico, logico e semantico (in gr. omoios / ghénos sono due contrari). L’ “omo-genitorialità” è una pura invenzione: nessuno è figlio di due madri. Nessuno è figlio di due padri. Si tratta di un’invenzione che ha il solo scopo di accontentare le pretese degli omosessuali danneggiando però i bambini che nelle “famiglie” “omo-genitoriali” vengono sistematicamente deprivati del loro diritto di avere un padre e una madre. Tutto questo per accontentare gli adulti. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, avendo a che fare con la neo lingua capita sempre più spesso dii trovarsi dinanzi un monstrum (nel senso latino del termine) come la parola omo-genitorialità. Questa parola, nata non si sa dove e non si sa quando, pretenderebbe di identificare una coppia di omo-sessuali che è anche genitrice. Quando si coniano tali neologismi sarebbe opportuno usare alla lingua italiana la cortesia di non creare ossimori tanto evidenti quanto grotteschi. E’ bene ribadirlo. Chissà che qualcuno alla fine non rinsavisca dalla psicosi sociale, oggi diffusissima. “Genitore”, deriva dal latino genitōre (m), deriv. di genĭtus, part. pass. di gignĕre ‘generare’. Il genitore è, quindi, colui che genera o che ha generato: asserire che una coppia di donne o di uomini possano generare (anche in senso figurato) un figlio non è forse una contraddizione in termini? Bene, ora torniamo a noi. Qual è la relazione tra gender e la questione dei diritti nelle coppie dello stesso sesso? Il concetto è semplice e paradossale al tempo stesso. Se è vero chemaschile e femminile sono solo costrutti sociali, che il genere non è correlato al sesso biologico, ne consegue logicamente la possibilità di matrimonio per persone dello stesso sesso e conseguente adozione di bambini. Da qui tutto è (già, si badi bene) consentito: dalla stepichild adoption alla fabbricazione e compravendita di esseri umani tramite utero in affitto, ai “diciotto genitori” (e più, perché no?) che secondo la lucidissima Giuseppina La Delfa (presidente della “Famiglie” arcobaleno, una di quelle che si sgola per proclamare che la teoria gender non esiste, detto per inciso) posso tranquillamente svolgere il ruolo di padre e madre e consentire comunque un equilibrato sviluppo del bambino. Noi sappiamo – per evidenza, per logica e per scienza – che questo non è vero (vedi qui, per esempio), ma tant’è: il pensiero unico induce a credere l’impossibile. E l’impossibile, creduto, diventa reale: è il principio della psicosi, la quale come tutti sanno ha origine nella negazione del principio di evidenza naturale. Il passaggio è diretto: se maschi e femmine sono solo costrutti culturali, ciò significa che il ruolo materno non è necessariamente legato ad una madre-donna e che nemmeno quello paterno è legato ad un padre-uomo. Al contrario, si pretende che i padri-uomini possano svolgere il ruolo di madre e le madri quello di padri e così via, un un miscuglio nel quale è difficile già da ora districarsi. Il tutto, chiaramente, in violazione dei principi fondamentali del corretto ragionamento umano (i famosi principi aristotelici di identità, di non-contraddizione e del terzo escluso). Ma una prima, incontrovertibile evidenza, è che la differenza tra uomo e donna precede qualsiasi sovrastruttura culturale. La cultura è fatta da uomini e donne, non viceversa. Uomini e donne sono realmente, fisicamente, psicologicamente differenti. Questa è la normalità. Affermare il contrario significa pensare l’impensabile, ovvero che “A” sia uguale a “non-A”. Ne deriva direttamente che una coppia dello stesso sesso è strutturalmente diversa da una coppia dove invece i sessi sono diversi, come natura richiede al fine della procreazione (e ne deriva che una coppia dello stesso sesso è inadatta, di conseguenza, alla crescita di un bambino): equiparare astrattamente realtà diverse è una pretesa illogica, oltre che immorale e concretamente impossibile. Uomini e donne sono diversi, quindi una coppia uomo-donna è diversa da una coppia omosessuale, etc. La coppia naturale maschio-femmina (M+F) è strutturalmente diversa da ogni altra modalità associativa omo-sessuale, cioè dello stesso-sesso (M+M), (F+F). In base al primo dei principi della Logica (principio di non-contraddizione): “A è uguale a non-A” è falsa. Dunque l’uguaglianza di sessi diversi (intendo qui l’uguaglianza di uomini e donne) è un assurdo, anche solo a livello astratto: figuriamoci in concreto. Allo stesso modo una coppia omosessuale – per definizione: dello stesso sesso – è ontologicamente diversa da una coppia di uomo e donna. Ed inutile è cercare di spiegare in tutti i modi che differenziare non equivale logicamente a differenziare. Ogni sforzo sembra inutile. D’altra parte, se è vero questo assurdo costrutto gender, Se è vero che “due papà sono meglio di uno” allora “tre sono meglio di due” … e “centoventi papà sono meglio di centodiciannove”. Per questa strada – che è quella suggerita da Giuseppina la Delfa, la quale sosteneva che anche 18 genitori vanno bene – si arriva velocemente all’annullamento del ruolo, del significato e dell’identità stessa del concetto di “padre” e “madre”. Quanto vale un padre (o una madre) se ogni individuo può averne un numero indefinito? …………… continua ……………. Alessandro Benigni   Fonte: https://ontologismi.wordpress.com/2015/04/21/lideologia-del-genere-avanza-nella-scuola-nel-silenzio-generale-le-case-editrici-si-adeguano/