C’è un argomento che più di altri viene proposto e imposto a favore dell’ineluttabile progresso nel quale consisterebbero i cosiddetti, da alcuni detti da me e molti no, diritti civili; è più o meno il seguente: l’Europa è già lì da un pezzo, tutti i paesi civili ormai hanno fatto questo passo, sono già tutti lì. Ok. Ma se andiamo un attimo indietro nel tempo ci sarà stato un momento in cui queste posizioni erano minoritarie, giusto? Ok, in quel momento quale poteva essere il criterio per decidere se quelle istanze fossero giuste o no? La maggioranza? il riconoscimento di paesi per inerzia definiti evoluti? No. Allora, all’epoca dei pionieri la battaglia sarà sembrata giusta perché sembrava giusta. In sè. E soprattutto in relazione ad un’idea di progresso e di bene che prescinda dalla sua approvazione politico-sociale. Ecco il criterio era una qualche idea di verità e giustizia esterna e svincolata dal consenso. Quindi ora vale lo stesso: non è il consenso per quanto diffuso a farci indurre la verità di un’istanza ma la giustizia dell’istanza in sé. Ovvero ognuno di noi ha in sé la possibilità di riconoscere la verità. La verità esiste. Abbiamo un truth-detector in dotazione tutti quanti. Possiamo deteriorarlo, ignorarlo, truccarlo ma lo usiamo comunque ed è solo in base ad esso che diciamo “questo è giusto”. Sistemiamo l’attrezzo please.
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